sabato 5 luglio 2014

Salvo Andò: “Renzi è il leader di una nuova stagione riformista italiana e europea”

Le aspettative che aleggiano intorno a Matteo Renzi sono enormi. Facendo un parallelismo con quello che accade nel mondo del calcio -visto che siamo in clima mondiale- per i suoi “fans”, il Presidente del Consiglio è una sorta di Maradona, un fuoriclasse al quale viene perdonato l’eccesso di estro pur di veder uscire dal suo cilindro la giocata strabiliante per la vittoria finale; per i critici è una specie di Balotelli, tutto fumo e niente arrosto. Ma davvero l’ex sindaco della città di Dante riuscirà nell’impresa di rinnovare l’ormai logoro assetto istituzionale italiano? Ne abbiamo parlato con Salvo Andò.
L’ex Ministro della Difesa e Rettore dell’Università Kore di Enna, oggi è presidente dell’ Osservatorio mediterraneo sui diritti umani, ed è tra i padri fondatori della Fondazione LabDem, un libero pensatoio d’ispirazione socialista e democratica.

On. Andò, nell’arco di poco più di un anno Renzi è passato dalla “rottamazione” alle riforme istituzionali. L’ex Sindaco di Firenze riuscirà nell’opera di dare vita a riforme condivise?
Ritengo che il complesso delle riforme che sono state indicate da Renzi costituiscono un vero e proprio ridisegno del sistema costituzionale italiano. Soprattutto con riguardo alla forma di governo. Da questo punto di vista si può parlare di una vera e propria “grande riforma” che va nella direzione di una semplificazione del processo decisionale, di una sostanziale riduzione di costi con riferimento alla complessiva macchina dello Stato, di una maggiore trasparenza nell’attività della pubblica amministrazione. Insomma queste riforme hanno un preciso senso, poiché scaturiscono da una visione unitaria di quello che dovrebbe essere lo Stato nel mondo dell’interdipendenza, e soprattutto nella prospettiva di un processo di integrazione europea che possa andare avanti.
Si tratta certo di un processo ambizioso, che sta incontrando molte comprensibili difficoltà e altre ne incontrerà ancora, sia perché si tratta di sconfiggere delle abitudini politiche che si sono consolidate nel corso di quasi settant’anni di vita repubblicana, attraverso le quali si sono selezionate le classi dirigenti e si sono strutturati partiti quelli vecchi della prima Repubblica e quelli nuovi della seconda. Non c’è dubbio che le riforme devono anche fare i conti con calcoli di natura personale. Non è certo facile per un senatore accettare che il “suo” Senato non ci sarà più. E’ però, questa della difesa intransigente dei principi posti a base della grande riforma, è l’unica strada da percorrere. Non si può fare una riforma delle istituzioni degna di questo nome potendo contare sull’entusiastica adesione di tutti. E’ anche umanamente comprensibile che vi siano delle resistenze, l’importante è che queste resistenze non diventino un ostacolo politico insormontabile, o peggio, non diano vita ad uno schieramento politico che organizzi l’ostruzionismo, allo scopo non di fare un’altra riforma ma di non farne nessuna.

C’è un possibile rischio fallimento dietro l’angolo come quello della bicamerale di dalemiana memoria?
Non credo che si possa ripetere l’esperienza della bicamerale D’Alema, anzitutto perché i tempi sono cambiati, i partiti sono meno forti di allora, ma è cambiata anche la filosofia che sta alla base della riforma istituzionale. In quella commissione si trattava della riforma istituzionale ma si trattava anche di siglare un accordo politico, su quei lavori aleggiava lo spirito di un patto più o meno di tipo consociativo. 

L’apertura di Grillo alla discussione sulla legge elettorale e sulla riforma della Costituzione è stata accolta con un po’ di sorpresa e con molta freddezza da parte del PD. Salvaguardare il ruolo di Berlusconi come interlocutore principale è l’unico modo per portare a casa il risultato?
Se vuole sintetizzare questo mio giudizio con uno slogan credo che la linea dell’attuale premier sia più o meno questa: discutere con tutti ma non riconoscere il diritto di veto a nessuno, anche perché mi sembra che gli interlocutori più intransigenti ormai abbiano una pistola scarica in pugno, possono fare cadere il governo ma di fronte alla prospettiva di un’elezione che potrebbe diventare un referendum su Renzi e sulla politica delle riforme, nessuno ha intenzione di arrivare alla rottura, soprattutto dopo il risultato delle elezioni europee.
Entrando nel merito delle riforme, molti, pur riconoscendo l’intraprendenza del nuovo PD di Renzi, criticano l’Italicum, principalmente per la riproposizione delle liste bloccate, e la riforma del Senato per la non elettività e per la reintroduzione dell’immunità. Qual è il suo giudizio?
Sul piano del metodo è corretto discutere e discutere con lealtà con la maggiore forza d’opposizione che si dichiara disposta a sedersi al tavolo delle riforme. Ma se c’è un’apertura da parte dei grillini è bene discutere anche con loro che tra l’altro sono divisi al proprio interno e lo saranno sempre più, fintantoché verrà portata avanti dai due gestori di quel movimento una linea molto avventurosa che porta a congelare milioni di voti che sono arrivati da parte di elettori che volevano protestare, e magari ancora vogliono protestare,ma vogliono soprattutto che i loro problemi vengano affrontati e risolti in modo realistico. Credo che sia interesse del paese che il movimento di Grillo si organizzi nelle forme di un’opposizione che sta dentro il sistema, anche se il movimento non vuole essere un movimento del sistema.Le ultime europee hanno mandato un segnale fortissimo di dissenso nei confronti di questa Europa. L’elettorato ormai libero da vincoli ideologici ha fatto si che ad esempio in Francia molti ex elettori della gauche abbiano scelto la Le Pen per via del suo linguaggio diretto contro quelle istituzioni europee che sono comunemente viste più come un peso che come un vantaggio.

La scelta dei Socialisti di sostenere Juncker non rischia nuovamente di appiattire tutto “l’arco costituzionale” europeo sulle politiche di rigore imposte dalla Germania?
Credo che prima di giudicare la politica estera di Renzi nel merito delle sue proposte,bisogna muovere da un dato che riguarda la situazione in cui si è voluto trovare il paese in questi anni a livello internazionale soprattutto in Europa,a causa di una politica estera debole o forse sarebbe più corretto dire inesistente. In Europa ci siamo mossi come gli ultimi della classe, quelli che chiedono solo comprensione e la chiedono col cappello in mano, dimenticando il ruolo storico dell’Italia nella costruzione dell’Europa e nel progresso del processo di integrazione. Mi pare che qualcosa stia cambiando. E’ la considerazione dell’Italia come sistema paese che sta cambiando grazie ad una diversa immagine che è riuscito a dare di sé questo governo soprattutto dopo la straordinaria, per certi aspetti sorprendente, vittoria del premier alle elezioni europee. E’ un fatto di grande importanza che il Partito Democratico, il partito di cui Renzi è segretario, sia oggi il più grande partito all’interno del Partito Socialista europeo, e che le posizioni italiane sul futuro dell’Europa non possono non impegnare, direi oggettivamente, l’intero partito del socialismo europeo che è uno dei due grandi interlocutori della politica europea. Mi pare, da questo punto di vista, che per l’Italia gli esami, quelli cattivi,che ci assegnavano solo il compito di saper fare bene i compiti a casa, siano finiti. Vedo un atteggiamento diverso nella stessa posizione tedesca, anche perché la posizione del premier italiano, espressa a proposito dell’elezione del nuovo Presidente della commissione europea sta risultando vincente. E’ stato giusto chiarire la scelta della persona che va ad assumere quella responsabilità è tanto importante quanto il programma delle cose che egli si impegna fare. Il prevalere di questa linea è un grande successo politico per noi, agli occhi dell’opinione pubblica europea, che non è abituata al teatrino della politica che tanto ci occupa in Italia, ma è solita pesare la credibilità di un leader anche sulla base dei voti che prende, della stabilità politica che riesce a garantire al suo paese, e dell’ascolto che riesce a conseguire presso le cancellerie europee. Credo che anche gli avversari di Renzi dovrebbero essere contenti del fatto che l’Italia risalga la china nella considerazione internazionale, che il Presidente del Consiglio italiano non è solo convocato dagli altri al momento di prendere le decisioni, ma riesca anche lui a convocare gli altri. E’ questa una delle condizioni perché un paese sia preso sul serio.
Insomma è sbagliato guardare alla politica europea con occhiali italiani che portano spesso a concepire l’opposizione come risorsa buona solo a distruggere. L’opposizione deve costituire un’alternativa alla politica della maggioranza, ma non un’alternativa distruttiva. Quei tempi sono finiti!


Guardando alla prospettiva dei prossimi decenni, è possibile immaginare un’Italia che nell’ottica di uno sviluppo sostenibile guardi meno alle economie del nord Europa e più ai Paesi della sponda sud del Mediterraneo? A detta di molti esperti, questa potrebbe essere una delle soluzioni principali per rendere l’Italia leader di un’area strategicamente fondamentale per tutto il mondo occidentale… Una volta risolti problemi dei conti pubblici in Europa mi auguro che ci si occupi di più di un riorientamento dell’Europa verso i paesi della sponda sud del Mediterraneo,un’area nella quale l’Italia negli decenni passati è stata presente da protagonista. Il Mediterraneo è il “nostro mare, e tutto ciò che avviene in questo continente liquido riguarda l’Europa. Del resto, non dobbiamo occuparci solo di questi paesi limitandoci a individuare in essi la fonte della minaccia,ma cercando di vederli come una grande opportunità, per i processi di sviluppo che si possono avviare e che riguardano tutta la regione mediterranea, per la forte domanda di democrazia che emerge da quelle popolazioni le quali per la prima volta guardano a modelli di organizzazione politica e sociale che sono molto simili a quelle dell’Occidente. La transizione verso la democrazia in quel mondo è certo difficile, ma lo è stato anche in Europa nei secoli scorsi; sino all’ultima guerra la gran parte degli Stati europei era governata da dittature. Cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno di quel mondo, risiedono moltissimo giovani, c’è quindi uno straordinario capitale umano che aspetta solo di essere valorizzato. Inoltre vi sono grandi risorse ambientali che devono essere messe a disposizione tutto il pianeta. L’Europa deve avere una politica che la renda credibile un’indegna questa direzione, a cominciare da un progetto di sviluppo bi continentale che leghi in qualche modo i destini dell’Europa ed i destini dell’Africa.
L’Europa negli ultimi decenni è invecchiata, ma soprattutto è invecchiata male. Occorre un rapporto con queste popolazioni che sia basato non sull’aiuto che viene barattato con ingerenze di tipo neocoloniale , ma su una visione comune di ciò che il Mediterraneo potrebbe essere in un nuovo assetto geopolitico che mette in discussione la vecchia centralità euroatlantica.
Dobbiamo certo guardare verso l’est dell’Europa, ma quel mondo tutto quello che poteva dare, lo ha già dato; dobbiamo abituarci a guardare più verso il sud, pensare ad un’alternativa mediterranea, e pensare soprattutto alla politica europea nei confronti dei paesi della sponda sud come ad un coraggioso esperimento nel campo di nuove politiche dello sviluppo, che riducano le crescente distanze che esistono tra il nord ed il sud del mondo. Mi piace pensare al Mediterraneo come laboratorio di questi nuovi assetti. Dobbiamo però avere il coraggio di riconoscere, non solo a parole, il diritto allo sviluppo. Se esso verrà garantito, molti problemi di sicurezza nella regione si risolveranno; c’è un preciso rapporto fra fondamentalismo islamico e sottosviluppo. Se si afferma un modello di progresso condiviso è più facile avere un modello di sicurezza cooperativo in cui tutti gli Stati possono essere insieme fruitori e consumatori di sicurezza, e quindi si può, quanto meno in via tendenziale, realizzare una maggiore uguaglianza tra gli Stati, evitando che vi siano stati che vendono sicurezza e Stati che la devono comprare rinunciando a quote della loro sovranità, aprendo così la strada a rivendicazioni a sfondo nazionalistico.

 AC, I Vespri, 05/07/2014


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