sabato 26 luglio 2014

Giarre. Piano Regolatore: Perché “Cemento Zero” non resti solo uno slogan…

Hanno preso il via le grandi manovre sul piano regolatore. A parole la posizione assunta dal sindaco pare largamente condivisibile, può diventarlo anche nei fatti, ma bisogna prima capire in che cosa si tradurrà lo slogan “Cemento Zero”. In particolare servirà vedere se si trattaterà di bloccare qualunque forma di speculazione edilizia volta a creare nuovi insediamenti abitativi, in una città in cui la popolazione non cresce o se tornerà di moda l’idea di trasferire le cubature da un'area all'altra della città, sulla base di criteri assolutamente discrezionali e quindi inevitabilmente clientelari; qui bisognerà certamente tener conto delle forti pressioni che si eserciteranno sull'Amministrazione e sul Consiglio comunale. Da questo punto di vista, nella passata legislatura sono emersi comportamenti certamente deprecabili, considerato che nel momento in cui si trattava di approvare il piano regolatore venivano proposti discutibili emendamenti da parte di alcuni Consiglieri comunali, i quali cercavano di valorizzare aree “d’intersse”. Ecco, se il sindaco manterrà totalmente fede a quanto detto, con l'opzione cemento zero ogni genere di speculazione dovrebbe evaporare. Questa scelta potrebbe consentire di rendere la città più vivibile attraverso l'espansione delle zone verdi, la creazione di strutture turistiche, nonché la cogestione di spazi pubblici per l'insediamento di attività produttive.
Tutto ciò impone e imporrà una seria discussione sullo sviluppo della città e sulle sue vocazioni, sulla base delle quali bisognerà organizzare un'efficace pianificazione territoriale.
Deve essere solo la vocazione naturale del territorio a indicare la rotta per un piano regolatore moderno ed efficiente, qualsiasi altro fattore appartiene al passato ed è bene che vi rimanga.
Lo stesso discorso deve valere anche in materia di valorizzazione del centro storico, il quale deve essere oggetto sia di tutela dell'assetto storico, sia di una nuova e moderna vivibilità complessiva, questa però non può avvenire attraverso la concessione di nuove cubature, perché ciò comporterebbe l'incetta di immobili a fini speculativi e quindi ulteriore disordine nella struttura del centro storico. Bisogna scoraggiare con tutti i mezzi potenziali “ furbetti del quartierino”, poiché questi potrebbero avvantaggiarsi di politiche sbagliate che potrebbero maturare sul Prg. Il centro storico va sviluppato, quindi, con la ristrutturazione e la bonifica di ciò che c'è già, nel rispetto di un piano del decoro urbano che deve assolutamente essere varato e poi rispettato negli anni. Anche in quest'ottica è sbagliato alienare le proprietà comunali, in una città in cui nel passato si è avuta l'allegra politica delle locazioni che come risultato avevano l’esoso esborso dell'ente comunale in favore di pochi “fortunati”. I beni destinati all'uso pubblico devono rimanere tali, vincolati a questa destinazione, scoraggiando qualsiasi acquirente magari speranzoso in facili cambi di destinazione d'uso. Questa deve essere una pietra miliare irrinunciabile.
Al di là degli slogan -che per il bene di Giarre è giusto sperare che si traducano in realtà- e delle scelte di dettaglio che si effettueranno, dovrà essere chiaro a tutta la classe politica giarrese -specie a chi siede nella stanza dei bottoni- che il nuovo piano regolatore dovrà servire principalmente a rendere la città vivibile e a porre le basi per la creazione di nuovo lavoro, certamente non per incoraggiare la speculazione utile ad arricchire soltanto poche persone e gruppi di pressione.
Infine, un consiglio non richiesto. Per dare luce ad un buon Prg, l'Amministrazione e il Consiglio comunale dovrebbero valutare la possibilità di coinvolgere in prima battuta tecnici di diverse estrazioni politiche e di diverse tendenze culturali, e poi anche tutto il resto della cittadinanza, magari aprendo un forum dove tutti cittadini possano dialogare con le istituzioni, suggerendo delle azioni e chiedendo spiegazioni.
I Giarresi onesti sono testardi, sperano ancora nella “casa di vetro”, magari aumentando la cubatura -questa sì- della trasparenza.

Alberto Cardillo, I Vespri, 26/07/2014

Giarre. Un sindaco contorsionista nella palude

Come una contorsionista il sindaco Bonaccorsi passa dalla comunicazione social al “tirare a campare” del sempre prodigo di insegnamenti di ars politica Giulio Andreotti. A un anno dal suo insediamento il re –o meglio il sindaco- è nudo nella sua incapacità di gestire le varie fazioni della sua maggioranza, ciascuna delle quali scalpita per un posto al sole. C’è il dato politico di derivazione nazionale, l’implosione del PdL , che nel consiglio comunale giarrese ha dato campo a posizione personali e ad improbabili accoppiate, ci sono gli agguati della galassia si Art 4, qualcosa che dalla vecchia politica eredita la peggiore fumosità ribalda e di nuovo ha solo qualche facce, il tutto nel più totale e disarmante disinteresse della città, ormai avvezza a questo squallido risiko dei gruppi consiliari che nascono come funghi alle prime piogge, in un incomprensibile valzer di posizioni che via via assumo, ma con il faro fisso dell’irrilevanza nella produzione di politiche efficaci. Il sindaco ambiva ad essere acqua fresca nello stagno giarrese, ma paga l’aver costituito una coalizione con i residui di una palude. A poco serve sfornare annunci, rassegne e manifestazione se poi nulla di tangibile è stato prodotto in termini di vivibilità in questa città e il segno del degrado è evidente, non solo nelle discariche disseminate per Giarre, ma anche nella escalation criminale che interessa tutta l’area, ma per la quale nessuna politica è stata messa in campo e neanche pensata. Come fare allora? La smetta il Sindaco con le fughe in avanti, ricche di slogan e povere di sostanza, si individui un metodo che coinvolga maggiormente il consiglio e le forze attive e vive della città –le categorie produttive, i professionisti, le intelligenze, le associazioni e i partititi-, si individuino alcune priorità: la mobilità urbana, l’istruzione, un intervento incisivo di sostegno per una determinata parte di popolazione che sta soffrendo la crisi, le famiglie monoreddito o senza reddito con figli a carico. Ora se si procedesse così, individuando degli obbiettivi, degli attori che devono elaborare delle strategie politiche per il raggiungimento di soluzioni per questi tre nodi, tutti balletti della politica e tutta l’incapacità di gestire la crisi degli equilibri politici dentro la maggioranza svanirebbero di fronte alla realtà della vita quotidiana di questa città e dei problemi che giorno per giorno devono essere affrontati. Basterebbe che il sindaco smettesse di agitarsi, divaricato tra i pezzi della sua maggioranza e gli annunci del suo IO, ipercomunicativo sui social network quanto inconcludente nella realtà quotidiana di questa città. Basta con le contorsioni nella palude, è stato una anno di social marketing e nulla più: Giarre e le 365 giornate di social noia. Non c’è dubbio che questa città debba “girare pagina”, ma bisogna che non lo si faccia con le mani unte di passato e bisogna pure avere qualcosa da scrivere nella pagina successiva, il futuro non aspetta.

Spectator, I Vespri, 26/08/2014

sabato 19 luglio 2014

Ecco come Mascali può tornare a volare alto

Un antico proverbio della saggezza popolare siciliana dice che “Cchiù scuru di mezzanotti 'un po' fari” (non può esserci più buio che a mezzanotte), ed è vero, ogni iattura, anche la più feroce, ha un inizio, uno sviluppo e una conclusione.
Nei prossimi mesi, quando si concluderà il mandato dei Commissari prefettizi, Mascali, la città della Contea, la città sepolta e ricostruita, sarà chiamata a chiudere -si spera per sempre- un lungo ciclo ultraventennale costellato da mala politica, arresti eccellenti, scioglimenti per infiltrazione mafiosa, e tante altre vergogne su cui è meglio posare sopra la pietra dell’oblio.
Mascali ha bisogno di rinascere una seconda volta, collegandosi idealmente con le gesta dei “padri” che a cavallo tra la fine degli anni ’20 e l’inizio degli anni ’30, dopo la distruzione provocata dell’eruzione dell’Etna, riuscirono nell’impresa di ricostruire fisicamente una nuova città nel breve volgere di qualche decina di mesi.
“I mascalesi che romanamente sopportarono grave sciagura e silenziosi come troiani -recita una lettera inviata nel 1929 al Duce da un notabile mascalese- non domandano nulla, perché assai sperano nella volontà del Vostro Governo nel sostenere lo sforzo d’onore e d’amore di un popolo laborioso che tutto vuole tranne che l’infausta resa”.
Oggi onore, amore e una buona dose di rabbia positiva, serviranno ai moderni mascalesi per spazzare le rovine morali -e giudiziarie-, rinnovando il mito della “Città nuova” e ripartendo proprio dall’onesta laboriosità, dalla storia, dalla cultura e dalla naturale vocazione turistica del territorio della vecchia contea.
Per rinascere, dunque, Mascali deve prima d’ogni cosa riappropriarsi del proprio blasone di città della cultura, non per presunzione ma perché Mascali sia durante che anche dopo il periodo della contea, è stata per secoli sinonimo di potenza, nobiltà, lavoro, produttività.
Per esempio, quasi nessuno sa Vitaliano Brancati trascorse lunghi periodi della sua giovinezza a Mascali, e che l’avv. Rosario Brancati (padre di vitaliano), fu Commissario Prefettizio di Mascali. All’epoca, racconta Vitaliano Brancati nel romanzo “Don Giovanni in Sicilia”, in quella che oggi è la sala del Sindaco si tenevano serate da ballo ove erano invitati i migliori nomi della nobiltà e dell’ascendente borghesia catanese.
E poi, come ignorare la straordinaria bellezza dello stile razionalista sulla quale è stata fondata l’architettura della nuova città. E’ assolutamente doveroso valorizzare ed esaltare l’ordine e l’armonia urbanistica con gli assi viari disposti in modo razionale, secondo uno schema ippodamèo ereditato dalla cultura romana.
Ad un occhio disattento può sembrare incredibile, ma Mascali è il più grande museo a cielo aperto della zona jonico-etnea.
Un’altra grande ricchezza di Mascali è il suo eterogeneo territorio che si estende dal mare della frazione di Fondachello fin sopra l’Etna, con i piccoli e deliziosi centri di Puntalazzo e Montargano. Un territorio così vasto -il doppio di Giarre e quasi il triplo di Riposto-, così ricco di storia, cultura e bellezze naturali, che se gestito con scrupolo e competenza potrebbe davvero sviluppare un modello di economia turistica estremamente redditizio non solo per i mascalesi, ma anche per coloro che potrebbero decidere di investire su questo territorio.
La rinascita di Mascali, quindi, deve viaggiare su quattro direttrici: buona politica, cultura, valorizzazione centro storico, riscoperta delle frazioni.
Fondachello negli ultimi decenni è stata vandalizzata da un’inetta classe politica che ha prestato attenzione solo alla folle corsa alla cementificazione di qualsiasi angolo rimasto libero, dando vita a dei veri e propri mostri urbanistici che hanno creato solo confusione, disagi e caos, con conseguenze disastrose sia dal punto di vista sociale che turistico. Oggi Fondachello non ha un turismo di qualità, sia per i motivi di cui sopra, sia perché mancano anche i servizi più banali, come quello di avere un cassonetto dove gettare i rifiuti. Quindi, gli unici ad assediare la frazione marinara di Mascali sono “turisti” mordi e fuggi che per mezza giornata occupano la spiaggia, nella maggior parte dei casi armati di vivande proprie -quindi non creando ricchezza sul territorio- delle quali rimangono le tristi tracce alla sera quando cala il sipario sulle spiagge insozzate da ogni tipo di scarto alimentare e sporcizia d’ogni tipo.
Ma nonostante tutto Fondachello può certamente risollevarsi, immaginate, per esempio, cosa potrebbe diventare il lungo mare se liberato dalle immondizie e dalla vegetazione selvaggia che ostruisce la visione del mare. Un lungo mare liberato dall’incuria, dove incoraggiare -perché no-l’istallazione di esercizi commerciali dove far ritrovare chi oggi fugge da Fondachello o turisti che oggi nemmeno la conoscono. Se qualcosa del genere potesse diventare realtà, cosa avrebbe da invidiare Mascali alle odierne località marinare più gettonate come Torre Archirafi o, spostandoci verso il messinese, S. Teresa Riva e Furci Siculo?
Ma non solo, restando in tema di frazioni da valorizzare, in collina e in montagna, S.Antonino, Nunziata, Puntalazzo e Montargano, rappresentano dei veri gioielli di pace e incontaminazione.
Qui c’è un precedente positivo, infatti in un tempo non lontano, per circa un ventennio la Pro Loco di Puntalazzo ha organizzato degli eventi capaci di portare nell’omonima piccola frazione montanara migliaia di turisti, molti dei quali decidevano di trascorrere un pezzo delle proprie vacanze trasferendosi per giorni sul posto.
Quella fu un’esperienza embrionale, pensiamo a cosa potrebbe accadere oggi se si creasse un circuito integrato mare-collina-montagna, magari incoraggiando in primo luogo le imprese turistiche con una fiscalità di vantaggio, sia per quanto concerne strutture ricettive medio-piccole come case vacanza e ristoranti, sia per strutture grandi oggi inesistenti, come Hotel, centri sportivi e centri benessere.
Insomma, a Mascali oggi è notte, ma domani, con rabbia e amore, se Dio e la buona volontà dei mascalesi vorranno, potrà essere un giorno splendido di rinascita e di rinnovato orgoglio.

Alberto Cardillo, I Vespri, 19/07/2014

lunedì 14 luglio 2014

Giarre. Le politiche culturali e l’inadeguatezza della classe dirigente

A giarrecontemporanea hanno parcheggiato la cultura nel cortile del comune e dicono che c'è spazio di riscatto: l'hanno mica rapita?
Giarrecontemporanea è una città dove resiste una sola libreria, eppure questa è città di scuole, dell'istruzione, ma l'offerta culturale è complessivamente assai ridotta, come pure la domanda. A finire imputata come sempre la politica: non c'è stata e non c'è alcuna politica culturale -non si semina nulla e il raccolto è proporzionale- se poi chi amministra si trasforma in un organizzatore di eventi non si tratta più di visioni politiche differenti su cui scontrarsi o andar d'accordo, semplicemente non c'è più politica, manca la visione di insieme, il progetto, non c'è nessuna sfida da proporre alla città per il futuro. Ora c'è "girare pagina", una rassegna letteraria (nell’immaginazione dell’amministrazione), in realtà niente più che una passerella con vetrina per libri, autori e sindaco (fantastico tirar fuori in un cortile sedie e poltrone e dire "abbiamo fatto la rivoluzione!", lo sanno tutti che le rivoluzioni nascono nei parcheggi, a Giarre poi dove parcheggiare è davvero qualcosa di rivoluzionario hanno parcheggiato la cultura nel cortile del comune...) ma non è che un volantino senza risvolto, l'ennessima trovata parapubblicitaria -buona solo a coprire il vuoto di proposta e attività politica- pronta a non lasciare traccia dopo qualche attimo senza una politica culturale organica e articolata che investa sulle numerose scuole di Giarre e sui talenti che vi crescono, fornendo loro opportunità e occasioni di sviluppo come singoli e per l'intera comunità. Forse la medesima iniziativa ad opera di una associazione sarebbe stata in sé mirabile e forse lo è, ma il punto è può mai essere queste il modo di condurre una politica culturale nella città di Giarre? La città delle scuole può fare salottini letterari snob, dalle 20 alle 22 nelle afose sera di estate, come un trastullo per pochi e chiamare questi eventi “politica culturale”? Davvero l’amministrazione crede che il riscatto di Giarre passi per i salottini? Le politiche culturali sono qualcosa di più serio e andrebbero contestualizzate nella città, nei suoi bisogni e dovrebbero mirare a obiettivi di lungo periodo, strategici, a Giarre paiono due: primo, valorizzazione dei talenti, delle eccellenze coinvolgendo scuole università e istituti culturali; secondo, lotta all’esclusione sociale e all’abbandono scolastico, coinvolgendo scuole e terzo settore (associazioni, volontariato, parrocchie). L’azione politica deve essere mirata a generare il cambiamento della città -questo è avere il “background progressista”- il resto sono chiacchiere su comode poltrone, sotto narcisistici faretti, ma in fondo questa è giarrecontemporanea. Certo, bisognerebbe allora chiarire quali sono e come si conducono e pianificano le politiche pubbliche per la cultura –manca il know how- ed ecco emergere il tema ricorrente di questi corsivi: l’inadeguatezza degli amministratori giarresi, di questa classe dirigente (che non c’è). C'è un investimento di risorse umane e finanziarie, non sotto forma di evento, ma come percorso? No, non c'è, allora amministrare diventa gestione dell'ordinario, in una prospettiva temporale schiacciata su un eterno presente (e il discorso sui fini!?), con qualche pizzico di narcisismo. A qualcuno può andar bene ma a far così poco basterebbe un automa, chessò un'app che seleziona personaggi, organizza eventi e invia inviti. Se forse il dissesto finanziario può essere ancora evitato, sul dissesto culturale dell'attuale classe di governo non ci sono dubbi. Una politica culturale ha bisogno di uno straccio di idea ma a giarrecontemporanea non c'è. Non ci resta che girare pagina sperando di trovare una nuova amministrazione e una storia da scrivere assieme e meglio.

Dario Li Mura, 12/06/2014

sabato 5 luglio 2014

Giarre. Presentato al Rex il Piano "Garanzia Giovani"

Grande partecipazione di pubblico, moltissimi i giovani al convegno GARANZIA GIOVANI “Così ti inizio il lavoro, accetti la sfida?”, tenuto presso l’Istituto Alberghiero di Giarre, organizzato dalla Dott.ssa Nerina Patanè Dirigente del Centro per l’Impiego di Giarre, che ha fatto gli onori di casa spiegando la missione dei centri dell’impiego nell’assistere i giovani disoccupati, i Neet, cui è destinata la Garanzia Giovani. Per conto della presidenza della Regione Sicilia è intervenuto il Dott. Caudo che ha posto l’accento sulla portata innovativa della Garanzia Giovani nel trasformare la Formazione Siciliana, troppo a lungo carrozzone clientelare al servizio della cattiva politica, in strumento per il lavoro e l’occupazione, destinato dunque a giovani e imprese. Ospite d’onore era l’Assessore Regionale all’Istruzione e alla Formazione Professionale Nelli Scilabra che oltre a descrivere con dovizia la sua “creatura”, il Piano Giovani, nelle repliche agli interventi della sala ha invitato quelli di qualche generazione precenti alla sua –che è una ventinovenne- di lasciare il pessimismo e di nutrire una speranza prima che tutti i giovani di Sicilia –questi sì col diritto di essere pessimisti- vadano via, dopo anni in cui una infinita ricchezza è stata sperperata e oggi tutte le crisi e le debolezze dell’isola sembrano esplodere. Per spiegare in dettaglio la Garanzia Giovani è intervenuta Patrizia Caudullo, Coordinatrice Regionale Welfare to Work Italia Lavoro. Per aderire al bando della Garanzia Giovani è sufficiente essere un giovane tra i 15 e i 29 anni, non impegnato in un’attività lavorativa né inserito in un corso scolastico o formativo e iscriversi sul sito http://www.garanzia giovani.gov.it. A Garanzia Giovani Sicilia sono stati destinati 178.821.388 euro ripartiti tra all'accoglienza formazione, 15 apprendistato, tirocini. La Regione ha destinato una quota consistente (circa 20 milioni di euro) all'autoimpiego per dare spazio a giovani con ambiziosi progetti imprenditoriali e principalmente per la creazione di imprese ad alto contenuto innovativo le cosiddette start up. Gli iscritti verranno contattati dal Centro per l’Impiego di riferimento per un appuntamento nel quale avvera la presa in carico e l’attività di profiling, cioè verranno ad un tempo individuate attitudini e potenzialità e dato un punteggio che rappresenta il gradi di vicinanza al modo del lavoro dando punteggi più alti a soggetti più svantaggiati al fine di rendere più efficace l’azione. Diverse le misure previste oltre al contratto di lavoro “diretto”, formazione, servizio civile, apprendistato, tirocini. In Sicilia il Governo Regionale ha cercato di unire e moltiplicare così i benefici e l’estensione della platea di destinataria con Il piano giovani, su cui durante il convegno si è soffermata a lungo l’Assessore Scilabra. La Regione Siciliana in collaborazione con Italia Lavoro ha destinato al Piano Giovani 19.250.000 euro per l’avviamento di percorsi di tirocinio per giovani disoccupati/inoccupati, diplomati o in possesso di qualifica professionale. 2000 percorsi di tirocinio formativo e di orientamento, di inserimento o reinserimento con la concessione al tirocinante di una borsa di tirocinio. I percorsi di tirocinio avranno una durata di 6 mesi (12 mesi per i laureati durante il tirocinio obbligatorio per l’iscrizione all’albo professionale) e una borsa di 500 euro lordi mensili per ciascun tirocinante. Sia i giovani che le aziende interessate possono iscriversi sul portale http://www.pianogiovanisicilia.com.

D.L., I Vespri Giarre, 05/07/14

Salvo Andò: “Renzi è il leader di una nuova stagione riformista italiana e europea”

Le aspettative che aleggiano intorno a Matteo Renzi sono enormi. Facendo un parallelismo con quello che accade nel mondo del calcio -visto che siamo in clima mondiale- per i suoi “fans”, il Presidente del Consiglio è una sorta di Maradona, un fuoriclasse al quale viene perdonato l’eccesso di estro pur di veder uscire dal suo cilindro la giocata strabiliante per la vittoria finale; per i critici è una specie di Balotelli, tutto fumo e niente arrosto. Ma davvero l’ex sindaco della città di Dante riuscirà nell’impresa di rinnovare l’ormai logoro assetto istituzionale italiano? Ne abbiamo parlato con Salvo Andò.
L’ex Ministro della Difesa e Rettore dell’Università Kore di Enna, oggi è presidente dell’ Osservatorio mediterraneo sui diritti umani, ed è tra i padri fondatori della Fondazione LabDem, un libero pensatoio d’ispirazione socialista e democratica.

On. Andò, nell’arco di poco più di un anno Renzi è passato dalla “rottamazione” alle riforme istituzionali. L’ex Sindaco di Firenze riuscirà nell’opera di dare vita a riforme condivise?
Ritengo che il complesso delle riforme che sono state indicate da Renzi costituiscono un vero e proprio ridisegno del sistema costituzionale italiano. Soprattutto con riguardo alla forma di governo. Da questo punto di vista si può parlare di una vera e propria “grande riforma” che va nella direzione di una semplificazione del processo decisionale, di una sostanziale riduzione di costi con riferimento alla complessiva macchina dello Stato, di una maggiore trasparenza nell’attività della pubblica amministrazione. Insomma queste riforme hanno un preciso senso, poiché scaturiscono da una visione unitaria di quello che dovrebbe essere lo Stato nel mondo dell’interdipendenza, e soprattutto nella prospettiva di un processo di integrazione europea che possa andare avanti.
Si tratta certo di un processo ambizioso, che sta incontrando molte comprensibili difficoltà e altre ne incontrerà ancora, sia perché si tratta di sconfiggere delle abitudini politiche che si sono consolidate nel corso di quasi settant’anni di vita repubblicana, attraverso le quali si sono selezionate le classi dirigenti e si sono strutturati partiti quelli vecchi della prima Repubblica e quelli nuovi della seconda. Non c’è dubbio che le riforme devono anche fare i conti con calcoli di natura personale. Non è certo facile per un senatore accettare che il “suo” Senato non ci sarà più. E’ però, questa della difesa intransigente dei principi posti a base della grande riforma, è l’unica strada da percorrere. Non si può fare una riforma delle istituzioni degna di questo nome potendo contare sull’entusiastica adesione di tutti. E’ anche umanamente comprensibile che vi siano delle resistenze, l’importante è che queste resistenze non diventino un ostacolo politico insormontabile, o peggio, non diano vita ad uno schieramento politico che organizzi l’ostruzionismo, allo scopo non di fare un’altra riforma ma di non farne nessuna.

C’è un possibile rischio fallimento dietro l’angolo come quello della bicamerale di dalemiana memoria?
Non credo che si possa ripetere l’esperienza della bicamerale D’Alema, anzitutto perché i tempi sono cambiati, i partiti sono meno forti di allora, ma è cambiata anche la filosofia che sta alla base della riforma istituzionale. In quella commissione si trattava della riforma istituzionale ma si trattava anche di siglare un accordo politico, su quei lavori aleggiava lo spirito di un patto più o meno di tipo consociativo. 

L’apertura di Grillo alla discussione sulla legge elettorale e sulla riforma della Costituzione è stata accolta con un po’ di sorpresa e con molta freddezza da parte del PD. Salvaguardare il ruolo di Berlusconi come interlocutore principale è l’unico modo per portare a casa il risultato?
Se vuole sintetizzare questo mio giudizio con uno slogan credo che la linea dell’attuale premier sia più o meno questa: discutere con tutti ma non riconoscere il diritto di veto a nessuno, anche perché mi sembra che gli interlocutori più intransigenti ormai abbiano una pistola scarica in pugno, possono fare cadere il governo ma di fronte alla prospettiva di un’elezione che potrebbe diventare un referendum su Renzi e sulla politica delle riforme, nessuno ha intenzione di arrivare alla rottura, soprattutto dopo il risultato delle elezioni europee.
Entrando nel merito delle riforme, molti, pur riconoscendo l’intraprendenza del nuovo PD di Renzi, criticano l’Italicum, principalmente per la riproposizione delle liste bloccate, e la riforma del Senato per la non elettività e per la reintroduzione dell’immunità. Qual è il suo giudizio?
Sul piano del metodo è corretto discutere e discutere con lealtà con la maggiore forza d’opposizione che si dichiara disposta a sedersi al tavolo delle riforme. Ma se c’è un’apertura da parte dei grillini è bene discutere anche con loro che tra l’altro sono divisi al proprio interno e lo saranno sempre più, fintantoché verrà portata avanti dai due gestori di quel movimento una linea molto avventurosa che porta a congelare milioni di voti che sono arrivati da parte di elettori che volevano protestare, e magari ancora vogliono protestare,ma vogliono soprattutto che i loro problemi vengano affrontati e risolti in modo realistico. Credo che sia interesse del paese che il movimento di Grillo si organizzi nelle forme di un’opposizione che sta dentro il sistema, anche se il movimento non vuole essere un movimento del sistema.Le ultime europee hanno mandato un segnale fortissimo di dissenso nei confronti di questa Europa. L’elettorato ormai libero da vincoli ideologici ha fatto si che ad esempio in Francia molti ex elettori della gauche abbiano scelto la Le Pen per via del suo linguaggio diretto contro quelle istituzioni europee che sono comunemente viste più come un peso che come un vantaggio.

La scelta dei Socialisti di sostenere Juncker non rischia nuovamente di appiattire tutto “l’arco costituzionale” europeo sulle politiche di rigore imposte dalla Germania?
Credo che prima di giudicare la politica estera di Renzi nel merito delle sue proposte,bisogna muovere da un dato che riguarda la situazione in cui si è voluto trovare il paese in questi anni a livello internazionale soprattutto in Europa,a causa di una politica estera debole o forse sarebbe più corretto dire inesistente. In Europa ci siamo mossi come gli ultimi della classe, quelli che chiedono solo comprensione e la chiedono col cappello in mano, dimenticando il ruolo storico dell’Italia nella costruzione dell’Europa e nel progresso del processo di integrazione. Mi pare che qualcosa stia cambiando. E’ la considerazione dell’Italia come sistema paese che sta cambiando grazie ad una diversa immagine che è riuscito a dare di sé questo governo soprattutto dopo la straordinaria, per certi aspetti sorprendente, vittoria del premier alle elezioni europee. E’ un fatto di grande importanza che il Partito Democratico, il partito di cui Renzi è segretario, sia oggi il più grande partito all’interno del Partito Socialista europeo, e che le posizioni italiane sul futuro dell’Europa non possono non impegnare, direi oggettivamente, l’intero partito del socialismo europeo che è uno dei due grandi interlocutori della politica europea. Mi pare, da questo punto di vista, che per l’Italia gli esami, quelli cattivi,che ci assegnavano solo il compito di saper fare bene i compiti a casa, siano finiti. Vedo un atteggiamento diverso nella stessa posizione tedesca, anche perché la posizione del premier italiano, espressa a proposito dell’elezione del nuovo Presidente della commissione europea sta risultando vincente. E’ stato giusto chiarire la scelta della persona che va ad assumere quella responsabilità è tanto importante quanto il programma delle cose che egli si impegna fare. Il prevalere di questa linea è un grande successo politico per noi, agli occhi dell’opinione pubblica europea, che non è abituata al teatrino della politica che tanto ci occupa in Italia, ma è solita pesare la credibilità di un leader anche sulla base dei voti che prende, della stabilità politica che riesce a garantire al suo paese, e dell’ascolto che riesce a conseguire presso le cancellerie europee. Credo che anche gli avversari di Renzi dovrebbero essere contenti del fatto che l’Italia risalga la china nella considerazione internazionale, che il Presidente del Consiglio italiano non è solo convocato dagli altri al momento di prendere le decisioni, ma riesca anche lui a convocare gli altri. E’ questa una delle condizioni perché un paese sia preso sul serio.
Insomma è sbagliato guardare alla politica europea con occhiali italiani che portano spesso a concepire l’opposizione come risorsa buona solo a distruggere. L’opposizione deve costituire un’alternativa alla politica della maggioranza, ma non un’alternativa distruttiva. Quei tempi sono finiti!


Guardando alla prospettiva dei prossimi decenni, è possibile immaginare un’Italia che nell’ottica di uno sviluppo sostenibile guardi meno alle economie del nord Europa e più ai Paesi della sponda sud del Mediterraneo? A detta di molti esperti, questa potrebbe essere una delle soluzioni principali per rendere l’Italia leader di un’area strategicamente fondamentale per tutto il mondo occidentale… Una volta risolti problemi dei conti pubblici in Europa mi auguro che ci si occupi di più di un riorientamento dell’Europa verso i paesi della sponda sud del Mediterraneo,un’area nella quale l’Italia negli decenni passati è stata presente da protagonista. Il Mediterraneo è il “nostro mare, e tutto ciò che avviene in questo continente liquido riguarda l’Europa. Del resto, non dobbiamo occuparci solo di questi paesi limitandoci a individuare in essi la fonte della minaccia,ma cercando di vederli come una grande opportunità, per i processi di sviluppo che si possono avviare e che riguardano tutta la regione mediterranea, per la forte domanda di democrazia che emerge da quelle popolazioni le quali per la prima volta guardano a modelli di organizzazione politica e sociale che sono molto simili a quelle dell’Occidente. La transizione verso la democrazia in quel mondo è certo difficile, ma lo è stato anche in Europa nei secoli scorsi; sino all’ultima guerra la gran parte degli Stati europei era governata da dittature. Cerchiamo di vedere il bicchiere mezzo pieno di quel mondo, risiedono moltissimo giovani, c’è quindi uno straordinario capitale umano che aspetta solo di essere valorizzato. Inoltre vi sono grandi risorse ambientali che devono essere messe a disposizione tutto il pianeta. L’Europa deve avere una politica che la renda credibile un’indegna questa direzione, a cominciare da un progetto di sviluppo bi continentale che leghi in qualche modo i destini dell’Europa ed i destini dell’Africa.
L’Europa negli ultimi decenni è invecchiata, ma soprattutto è invecchiata male. Occorre un rapporto con queste popolazioni che sia basato non sull’aiuto che viene barattato con ingerenze di tipo neocoloniale , ma su una visione comune di ciò che il Mediterraneo potrebbe essere in un nuovo assetto geopolitico che mette in discussione la vecchia centralità euroatlantica.
Dobbiamo certo guardare verso l’est dell’Europa, ma quel mondo tutto quello che poteva dare, lo ha già dato; dobbiamo abituarci a guardare più verso il sud, pensare ad un’alternativa mediterranea, e pensare soprattutto alla politica europea nei confronti dei paesi della sponda sud come ad un coraggioso esperimento nel campo di nuove politiche dello sviluppo, che riducano le crescente distanze che esistono tra il nord ed il sud del mondo. Mi piace pensare al Mediterraneo come laboratorio di questi nuovi assetti. Dobbiamo però avere il coraggio di riconoscere, non solo a parole, il diritto allo sviluppo. Se esso verrà garantito, molti problemi di sicurezza nella regione si risolveranno; c’è un preciso rapporto fra fondamentalismo islamico e sottosviluppo. Se si afferma un modello di progresso condiviso è più facile avere un modello di sicurezza cooperativo in cui tutti gli Stati possono essere insieme fruitori e consumatori di sicurezza, e quindi si può, quanto meno in via tendenziale, realizzare una maggiore uguaglianza tra gli Stati, evitando che vi siano stati che vendono sicurezza e Stati che la devono comprare rinunciando a quote della loro sovranità, aprendo così la strada a rivendicazioni a sfondo nazionalistico.

 AC, I Vespri, 05/07/2014


martedì 1 luglio 2014

Decesso Tenente De Falco. Cordoglio del Capo di stato maggiore della difesa.

Il capo di stato maggiore della difesa, ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, appresa la notizia del decesso del tenente Antonio De Falco, del 62° reggimento fanteria “Sicilia” di stanza a Catania, rimasto ferito a seguito dell’incidente automobilistico che lo ha visto coinvolto lo scorso 25 giugno, ha espresso ai familiari del giovane militare e al capo di stato maggiore dell’esercito il profondo cordoglio a nome delle forze armate e suo personale.

Fonte: Stato Maggiore della Difesa