sabato 21 dicembre 2013

Mafia. Macaluso: “Tutti i vertici della Dc convissero con la mafia.”

Qualche giorno fa a margine della presentazione del libro “Comunisti e Riformisti. La via italiana al Socialismo”, evento organizzato a Giarre dalla Fondazione Nuovo Mezzogiorno di Salvo Andò, abbiamo colto l’occasione per intervistare Emanuele Macaluso. Con lo storico leader comunista abbiamo affrontato il delicato e attualissimo tema dello sviluppo del fenomeno mafioso e delle sue connivenze con la politica. Il quasi novantenne Macaluso, come nel suo stile, non ha avuto peli sulla lingua.

On. Macaluso, negli ultimi anni molti esponenti della politica e della storiografia -specie da destra- sono arrivati alla conclusione che la moderna espansione della mafia ha avuto inizio durante la parte terminale del secondo conflitto mondiale, all’indomani dello sbarco alleato. In seguito restaurare le vecchie istituzioni, anche il nuovo Stato democratico si servì allora della mafia; infatti i primi sindaci antifascisti dell’Italia liberata furono, ad esempio, Genco Russo e Calogero Vizzini.

Quanto c’è di veritiero in questa analisi storico-politica?
Di vero c’è una cosa: quando sono sbarcati gli alleati in Sicilia nel luglio del 1943, i partiti tradizionali, erano deboli, anzi debolissimi, per via della lunga clandestinità. Quindi gli alleati arrivarono sapendo una cosa -la sapevano perché avevano studiato bene la storia della Sicilia- che le forze che avevano poteri con le masse erano tre: la chiesa, gli agrari e la mafia. Loro si poggiarono su questi tre pilastri. E’ vero che Vizzini fu nominato sindaco di Villalba, ma a Palermo fu nominato Lucio Tasca, presidente degli agrari della Sicilia, colui che aveva scritto un libretto dal titolo significativo: Elogio del latifondo. Tasca non era mafioso, ma era comunque connivente con il sistema. Quindi da questo punto di vista anche il movimento separatista ebbe caratteri diversi, per esempio, nel catanese vi fu un separatismo di sinistra, cattolico, popolare; nella Sicilia occidentale vi fu un separatismo mafioso in collaborazione con gli agrari. Poi bisogna puntualizzare che in Sicilia non c’era un Governo italiano, c’era l’AMGOT, il governo degli alleati, presieduto dal Col. Charles Poletti, vi era persino un’altra moneta, le AM Lire. La Sicilia visse una vicenda separata dal resto d’Italia. In questa vicenda non vi è dubbio che non solo Vizzini e Russo furono protagonisti del potere politico-mafioso, ma anche nel resto dei Comuni della provincia di Palermo, di Agrigento, etc, tutta la vecchia mafia -allora giovane-, esercitava un potere sociale prima che politico. E Quando cominciarono le prime occupazioni delle terre, a seguito della legge Vullo, dopo la svolta di Salerno di Togliatti, i mafiosi cominciarono anche ad ammazzare rappresentanti del popolo, dei sindacati.

Quali responsabilità storiche -se vi sono- ha la Democrazia Cristiana nel mancato contrasto alla mafia?
La responsabilità maggiore della Dc è dopo il ’48, perché prima del ’48 la mafia era ramificata nel partito liberale, nel partito monarchico e solo alcuni in pezzi Dc. Dopo il ’48, la mafia, che si orienta sempre verso chi ha il potere, capì che la Dc era il partito del potere e si spostò tutta su di essa. Quindi la Dc per fare un solido blocco sociale e politico in Sicilia, ha dovuto mettere dentro tutto il sistema mafioso, considerando la mafia parte della società che esisteva. Tant’è vero che Io ho pubblicato in un mio libro una dichiarazione di Giuseppe Alessi, primo Presidente della Regione Siciliana e grande esponente della Dc, il quale al Corriere della Sera dichiarò che la Dc si trovò a dover scegliere se combattere la mafia o i comunisti, e scelse di combattere i comunisti; ecco perché la mafia fece parte del sistema. La mafia, quindi, si mise al servizio degli apparati dello Stato. Il banditismo in Sicilia, faccio un esempio, non è stato distrutto dai Carabinieri ma dalla mafia. La mafia era un braccio dello Stato. E poi, sempre la mafia liquidò Giuliano, nel 1950 quando vi fu la farsa della sua uccisione, dissero che l’avevano ucciso i Carabinieri, invece l’avevano ucciso i mafiosi, consegnandolo poi da morto ai Carabinieri.

Qual è l’idea che lei ha maturato sull’omicidio di Salvo Lima? E poi, davvero Andreotti fu connivente con il sistema di Cosa Nostra, oppure questa è un’accusa di quelle che Andreotti derubricava così: “guerre puniche a parte mi hanno attribuito di tutto”?
Guardi, sugli anni che vennero dopo il ’48, anche Andreotti disse che la Dc conviveva con il sistema mafioso, perché la Dc riteneva che il potere da lei rappresentato era in grado di controllare la situazione. Quando invece la mafia cominciò a fare attività terroristiche, lì si interruppe il rapporto di collaborazione o connivenza. Salvo Lima fu ucciso durante la campagna elettorale del 1992, perché considerato uomo di collegamento con il sistema politico che non era stato più in grado di mantenere i patti presi con la cupola mafiosa. I mafiosi uccidendo Lima avvertirono Andreotti e tutta la Dc, facendo capire che da quel momento avrebbero potuto uccidere non solo magistrati e Carabinieri, ma anche uomini politici, e questa era una grave novità.
Comunque, rispondendo alla sua domanda, non è che Andreotti ebbe un rapporto con la mafia diverso di quello che ebbero altri capi notabili della Dc. Ciancimino, Lima e Gioia erano tutti fanfaniani, poi Ciancimino e Gioia litigarono con Lima e quest’ultimo si mise con Andreotti…


Quindi è da sfatare la visione di un Andreotti esponente politico romano della mafia?
Andreotti è stato più cinico, ma tutti i capi della Dc hanno avuto lo stesso rapporto con la mafia. Il rapporto, ripeto, finì solo con l’esplosione del terrorismo, poiché a quel punto, esplosa la guerra la Dc non poteva far altro che difendere lo Stato, infatti il primo decreto che rimise in carcere tutta la cupola mafiosa -che era stata messa fuori dalla Cassazione per fine termini di custodia-, fu proprio di Andreotti.

Vent’anni fa partiva l’operazione “Vespri siciliani” voluta dall’allora Ministro della Difesa Salvo Andò. All’epoca l’operazione raccolse molti consensi tra la gente comune ma anche qualche mugugno tra gli attori della politica che a loro dire temevano la militarizzazione del territorio nazionale. Lei non crede che se lo Stato avesse reagito prima con questa durezza, forse sarebbe stato possibile, non dico sradicare, ma quantomeno depotenziare notevolmente il fenomeno mafioso?
Penso di sì, non c’è dubbio che quell’azione ha avuto un forte significato politico. Vede, quelli che contano sono i segnali politici, l’opera di repressione è importante, certo, ma i segnali politici sono fondamentali, facendo capire che lo Stato non ci sta, che lo Stato non convive, che lo Stato si contrappone. La mafia ha fiuto politico, non ci sono solo i contadini di Corleone, ci sono uomini che hanno finissimo fiuto politico e conoscono bene le cose della politica.

Lei ci crede alla trattativa Stato-mafia?
Guardi, nel mio libro politicamente s/corretto ho trattato lungamente la questione della trattativa. Io così come è impostato il processo sono molto critico, perché si basa su delle accuse al Gen. Mori, il quale è stato già due volte assolto da due processi per non aver commesso il fatto. Il terzo processo a Mori si fonda su cosa? Sulle dichiarazioni taroccate del giovane Ciancimino? Questi non è altro che imbroglione degno di suo padre. Per il resto questo nuovo processo si basa su fatti che non riescono ad avere una consistenza, come si è dimostrato anche nei processi che ci sono stati per l’uccisione di Borsellino. Quindi a mio avviso questa vicenda della trattativa, così com’è impostata, non ha una base convincente.

C’è da temere per le minacce di Riina al Procuratore Di Matteo?
Sulle minacce di Riina bisogna essere prudenti, perché Lui è in carcere ha degli ergastoli e non credo abbia ormai una grande influenza sul sistema mafioso, però il pericolo che la mafia voglia vendicarsi sui magistrati che li hanno perseguiti c’è sempre. Credo, quindi, che lo Stato faccia bene a rafforzare e garantire la sicurezza ai magistrati.

(Alberto Cardillo - I Vespri, 21/12/13)

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