sabato 8 giugno 2013

Vent'anni fa l'operazione "Vespri Siciliani". Quando lo Stato dichiarò guerra alla mafia

L'operazione "Vespri siciliani" fu decisa poche ore dopo l'assassinio del giudice Borsellino. Essa però fu compiutamente organizzata a partire dal mese di settembre e il dispiegamento delle forze sul territorio si completò tra il dicembre del 1992 e l'inizio del 1993. Sono passati vent'anni da allora, ma molti ricordano ancora il clima generato da quella scelta operata, soprattutto per le difficoltà organizzative che essa poneva. Per rendere bene l'idea sulla portata storica di quella operazione, bisogna tener conto che mai reparti militari erano stati utilizzati in modo così massiccio su tutto il territorio nazionale e in misura così consistente. Le difficoltà di tipo politico furono molteplici; soprattutto si posero numerosi paletti al dispiegamento delle forze militari in funzione antimafia, tenendo conto anche delle obiezioni di chi riteneva che così si sarebbe militarizzato il territorio. Insomma l'operazione, nell'opinione di molti ambienti dei palazzi romani, anche dal punto di vista delle abitudini democratiche, si presentava come un'iniziativa a rischio. A livello organizzativo il perno dell'operazione era costituito dai militari della Aosta di stanza in Sicilia, ma poi via via furono utilizzati altri reparti che presentavano caratteristiche professionali tali da poter essere impiegate in Sicilia, dalla Folgore agli Alpini.
Abbiamo cercato attraverso documenti del tempo -alcuni dei quali inediti- e testimonianze d’eccezione, di ricostruire le diverse fasi di questa vicenda destinata a lasciare un segno nella nella storia della lotta condotta dallo Stato contro la criminalità mafiosa, considerato che l'operazione Vespri siciliani è durata più di dieci anni e che si è chiusa ai tempi in cui Ministro degli Interni era l'attuale Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano.
Pochi sanno che tutto si decise attraverso una riunione convocata d'urgenza in Prefettura, a Palermo, subito dopo i funerali di Paolo Borsellino, a cui parteciparono, oltre ai vertici delle istituzioni dell'ordine pubblico operanti a Palermo, il Ministro degli Interni Nicola Mancino, quello della Difesa Salvo Andò , quello della Giustizia Claudio Martelli, oltre che il capo della polizia, Parisi. In quell'occasione tutti furono concordi sulla necessità di dare un segnale forte non soltanto sul piano delle pene e della durezza del regime carcerario, ma anche attraverso un controllo del territorio che doveva avvenire in due modi: da un lato portando fuori dalla Sicilia i capi di Cosa Nostra fino a quel momento custoditi nelle carceri siciliane, impedendo ad essi ogni possibilità di collegamento con le organizzazioni malavitose, collegamenti che fu provato avvenivano anche dall'interno del carcere, dall'altro saturando il territorio attraverso forme di controllo capillare che consentissero un migliore controllo dei movimenti delle organizzazioni criminali ma anche della criminalità minore che costituiva l'apparato di consenso dell'organizzazione mafiosa. Inoltre, il Ministro della Difesa pose l'attenzione sul fatto che bisognava disporre l'impiego in Sicilia di migliaia di militari di stanza nelle diverse regioni italiane, affidando ad essi funzione di controllo del territorio e di presidio di alcuni obiettivi sensibili. In tal modo si sarebbero liberati da queste incombenze poliziotti e carabinieri che era bene adibire invece all'attività investigativa. Per Andò, l'esercito, per le sue caratteristiche, si prestava a far operazioni di rastrellamento su vasta scala che consentivano di individuare eventuali latitanti, per esempio cinturando i centri urbani o interi piccoli centri e quindi svolgendo perquisizioni in forma tale che nessuno potesse sfuggire all'identificazione .
Il piano esposto dal Ministro alla Difesa pareva a tutti assai impegnativo e soprattutto richiedeva una tempistica difficile da attuare in tempi brevi. Bisogna inoltre considerare che il decreto legge con cui tutta l'operazione doveva essere realizzata, presentava dei rischi, tenuto conto che l'uso dell'esercito per operazioni di difesa dell'ordine pubblico poteva incontrare forti resistenze parlamentari .
Allora, il Ministro Andò spiegò che la prima parte dell'operazione, quella del trasferimento in carcere di massima sicurezza dei mafiosi più pericolosi, poteva essere realizzata nel giro di poche ore utilizzando gli aerei della aeronautica militare, i capienti C-130, sui quali già nel corso della notte potevano essere imbarcati i detenuti da trasferire altrove. Questa decisione dal forte valore simbolico fu subito messa in atto, dando l’ordine alla direzione delle carceri di preparare il trasferimento dei detenuti senza preavviso durante la notte. All'indomani dell'operazione si lesse sui giornali che alcuni detenuti erano ancora in pigiama quando furono imbarcati sugli aerei. Data la rapidità dell'operazione la stampa fu informata dall'avvenuto trasferimento quando già gli spostamenti si erano conclusi.
Dal punto di vista organizzativo questo trasferimento fu innegabilmente un successo, perché esso recava un colpo enorme anche sul piano dell'immagine al “potere" dei vertici di Cosa Nostra che venivano a perdere una rete di collegamenti con il territorio che solo rimanendo in Sicilia essi erano in grado di mobilitare.
Per quanto riguarda invece la portata innovatrice dell’ operazione militare "Vespri siciliani", c'è da dire che essa era stata preceduta da un'operazione analoga, seppure su scala ridotta fatta in Sardegna un mese prima, ai tempi del sequestro del piccolo Farouk Kassam, quando il Ministrò Andò decise di mandare nel giro di pochi giorni - allora si parlò di qualche attrito tra le strutture del Ministero ed il Ministro che richiedeva tempi di esecuzione dell’operazione ritenuti tecnicamente incongrui - l’esercito nelle montagne del nuorese, attraverso l'operazione “Forza Paris”. L’esercito pose in essere tutta una serie di azioni di rastrellamento che certamente creavano un serio ostacolo alla libertà di movimento dell'Anonima Sequestri. Si trattò anche di un'operazione - come spiegò allora il Ministro - di saturazione del territorio, di un territorio particolarmente impervio, cosa che consentì di fare importanti esperienze che sarebbero tornate utili quando gli stessi reparti poi vennero utilizzati per operazioni di Peace Keeping all'estero.
Le forze armate ebbero modo di sperimentare le notevoli capacità del Genio militare. Furono create in tempi rapidi le strutture necessarie per insediare alloggiamenti, nonché per consentire il trasferimento dei mezzi militari, ove esistevano solo sentieri di montagna, e anche nuove soluzioni in tema di comunicazioni in territori non coperti dalla rete delle normali comunicazioni. Farouk fu rapidamente liberato, la pressione esercitata dalle truppe che erano state schierate nel territorio fu fortissima, specie nelle zone interne della Sardegna ritenute impenetrabili, e che per questo costituivano un sicuro rifugio per i latitanti. Dunque, l'operazione “Forza Paris” ha costituito un ottimo precedente, lì furono gettate le basi per l'operazione dei “Vespri Siciliani”. L’esperienza dell’operazione militare in Sardegna dimostrò che lo Stato era in grado di imporre il suo ruolo di garante della sicurezza di tutti, di avere il reale controllo del territorio, ottenendo la fiducia della popolazione finalmente liberata dal dominio oppressivo della malavita organizzata. Gli amministratori locali, pure in una regione così gelosa della propria autonomia, per la prima volta si sentirono davvero sostenuti dall'intervento diretto dello Stato, e la stessa cosa avvenne in Sicilia da lì a qualche settimana, con buona pace di quanto paventavano certi professionisti dell'antimafia, teorizzando una pericolosa deriva militarista -dimenticando che la presenza della mafia era una presenza militare- non certo per scrupoli garantisti ma per dimostrare che dal versante dello Stato e quindi del Governo nazionale non sarebbe mai potuta venire una risposta concreta ed efficace nei confronti della mafia.
“Sono stati momenti terribili –dichiara oggi l’ex Ministro della Difesa Andò - perché la contestazione della piazza nei confronti di tutti i rappresentanti delle istituzioni era molto forte, bisognava assumere decisioni dal forte valore simbolico, ma al tempo disporre di strumenti nuovi per contrastare un'emergenza criminale a fronte della quale lo Stato appariva impotente, sconfitto. In vaste arie del territorio ormai si erano insediati poteri alternativi allo Stato, che potevano contare anche sul consenso sociale prodotto dalle ‘opportunità’ che le organizzazioni criminali davano, si pensi al lavoro nero in realtà in cui il lavoro non c'è, all'estendersi dei tentacoli dell'economia criminale che invadevano anche santuari dell'economia legale ritenuti inespugnabili. L’operazione Vespri siciliani ha consentito allo Stato di riaffermare il proprio potere su territori in cui l'insediamento criminale era capillare. La presenza dell'esercito ha riconciliato la gente con le istituzioni; i ragazzi con le stellette che si vedevano nelle strade e nei bar per garantire la sicurezza di luoghi dai quali lo Stato era stato sfrattato, dimostravano già con loro presenza che la battaglia non era perduta, e che lo Stato era pronto a rispondere a chi aveva bisogno di essere aiutato.” “La presenza dell'esercito insomma creò fiducia tra la gente che si è sentita più protetta. Le popolazioni siciliane – continua Andò - hanno da subito solidarizzato con i militari, hanno in un certo senso adottato quei ragazzi che rendevano più sicuri e più vivibili i luoghi pubblici, riconsegnando tali luoghi alla fruizione collettiva”.
Ma la presenza dell'esercito si avvertiva non solo nei centri urbani ma anche all'interno della Sicilia, in luoghi isolati, perché venivano pattugliate strade che non erano particolarmente trafficate, e di contro queste azioni davano risultati importanti, si identificavano criminali da tempo ricercati, si sequestravano armi, partite di droga. La gente tornava a schierarsi con lo Stato, e negli anni successivi di fronte alla prospettiva che l'operazione Vespri siciliani potesse fermarsi si levavano proteste popolari, oltre che da parte dei sindaci, anche da parte di comitati di cittadini.
“Avevo dato incarico -ricorda l’ex ministro Andò- ad alcuni centri di ricerca di monitorare il livello di gradimento delle popolazioni, il gradimento era altissimo, venivano evidenziati nelle relazioni che mi arrivavano anche tanti piccoli fatti, i quali dimostravano come ormai si fosse creato un forte rapporto di solidarietà tra le nostre popolazioni e ragazzi che venivano anche da regioni molto lontane. I soldati erano oggetto di attenzione, di gesti di simpatia, venivano coccolati dalla gente comune. Attraverso le rilevazioni che settimanalmente facevano questi centri di ricerca, abbiamo scoperto anche che il controllo dei militari in alcune strade periferiche, della Sicilia interna, via via determinava un abbassamento dei flussi di traffico. Il controllo insomma funzionava, zone che la criminalità riteneva sicure dal proprio punto di vista non lo erano più. Saturare il territorio significava riprendere il controllo di esso, e quindi alzare al tempo stesso la soglia di rischio per lo svolgimento di tutta una serie di attività criminali che per anni si erano svolte alla luce del sole, nella certezza dell'impunità.”
Altresì, dalle cronache del tempo si può evincere come non tutti però nei palazzi del potere erano d'accordo sull'operazione. Paradossalmente anche nel fronte dell'antimafia canonica, quella dei movimenti politici antimafia, si verificavano opposizioni. Interrogato da noi su questo punto, Andò ha preferito non commentare. All'epoca tra la schiera dei critici si pose come capofila la Rete di Leoluca Orlando, si sostenne addirittura che l'operazione era un'azione di facciata e che se ci scappava il morto, se la mafia avesse ucciso qualcuno di quei soldati, tutta l'operazione Vespri sarebbe finita. Qualcun altro come il Sindaco della primavera catanese, Enzo Bianco, diceva che si trattava di un'operazione che non serviva, utile solo a fare "scruscio". Analizzando oggi queste prese di posizione, si può dire che si trattò di massaggi devastanti, certamente non utili nella lotta alla criminalità organizzata. Andò su questo tema vuol levarsi qualche sassolino dalla scarpa: ”è vero si sono avute pure queste reazioni che mi hanno molto addolorato, anche perché potevano creare allarme sociale, ma erano altri tempi e sul terreno della lotta alla mafia si combattevano delle vere e proprie crociate politiche, con durissime strumentalizzazioni. Spesso avevo l'impressione che alcuni attacchi nei miei confronti venissero da ambienti i quali sentivano destabilizzato il loro monopolio come gestori dell'antimafia. Insomma il successo dell'operazione Vespri Siciliani faceva emergere un'antimafia di governo che poteva mandare all'aria i disegni di chi riteneva che l'antimafia potesse essere soltanto affidata alle forze dell'opposizione politica. C'è da dire però che via via nel tempo tutti si sono allineati, hanno giudicato i “Vespri Siciliani” un'operazione ben riuscita. Posso affermare con orgoglio che quell'operazione ha fatto scuola, è stata ritenuta una forma di impiego dell'esercito nel settore dell'ordine pubblico che poteva essere realizzata anche in altri paesi; in alcune università scozzesi e irlandesi sono state assegnate addirittura delle tesi sui Vespri Siciliani, analizzandone la grande portata innovatrice e i risultati raggiunti. Poi è accaduto che nel passaggio dalla prima alla seconda Repubblica,tutto quanto era stato fatto è stato messo nel dimenticatoio, vi è stato un disconoscimento della paternità di quest'operazione,considerando essa come opera di ignoti”.
Infine c’è da considerare che a cavallo tra il 1992 e il 1993 il paese assistette ad una sovraesposizione delle forze armate italiane, presenti su diversi scenari, perché contestualmente impegnate nei i "Vespri siciliani", e nell’operazione di Peace Keeping che in dicembre venne avviata in Somalia, un paese distrutto dalla guerra civile e dove gli americani non volevano che gli italiani mettessero piede. Si trattò un'operazione difficilissima, l'esercito si trovò a dovere impiegare decine di migliaia di uomini,contestualmente, fuori dalle caserme, e non per le solite esercitazioni, ma sperimentando forme di impiego assolutamente inedite della forza militare, da sempre considerata adatta soltanto ad attività sedentarie, alle marce. Andò ricorda che in questa vicenda l'ostilità americana nei nostri confronti fu palese, e che l'inviato degli Stati Uniti in Somalia, l'ambasciatore Oakley, addirittura non volle mettere a disposizione l’aeroporto di Mogadiscio, neanche dopo che era stato programmato l'invio del contingente italiano. I nostri aerei partirono da Roma e dalle altre basi senza che da parte americana fosse stato dato l'ok per il loro atterraggio. Proprio in quegli anni, insomma, le forze armate furono impegnate ad affrontare tante serie emergenze, dando prova di grande professionalità”. Insomma, da allora fino ai giorni nostri, sono stati sfatati molti luoghi comuni in ordine alla professionalità delle nostre forze armate e alla loro capacità di ben figurare, anche a livello di operazioni di pace molto rischiose. Esse sono riuscite ad interagire con i contingenti militari di altri paesi, e anche a guidare tali contingenti. I militari italiani si dimostrarono e tutt’ora si dimostrano, non solo molto capaci, anche per la qualità dell'addestramento ricevuto, ma in grado di stabilire rapporti di amicizia con le popolazioni locali ,venendo scelti come interlocutori privilegiati, dimostrando così, che oltre alla forza delle armi servono cuore e cervello.

(Alberto Cardillo - I Vespri)